Storia
Le più antiche notizie del “luogo detto Gamberaja” risalgono alla seconda metà del Trecento quando un podere con casa colonica apparteneva alle monache di S. Martino a Mensola. Il nome si riferiva alla presenza di un corso d’acqua dolce dove si pescavano i gamberi. Alla fine del Trecento la proprietà fu acquistata da Matteo di Domenico Gamberelli, tra i cui discendenti spicca la figura di Bernardo detto “il Rossellino”. Nel 1610, il nuovo proprietario Zanobi Lapi iniziò la costruzione della villa padronale e la sistemazione dei giardini.
Nei primi del Settecento la proprietà, estesa su quasi 100 ettari con una quindicina di case coloniche, passò ai marchesi Capponi. Già esistevano molte delle strutture che si ammirano ancora oggi, tra cui il viale d’accesso, il bowling green, il gabinetto rustico, le lecciaie e la limonaia. Vennero allora aggiunti altri elementi architettonici, statue, fontane e giochi d’acqua. Nell’Ottocento con il frequente passaggio della villa di mano in mano, sopraggiunsero anche periodi di abbandono e trascuratezza.
Con l’acquisto della villa nel 1896 da parte della principessa Giovanna Ghykha, sorella della regina Natalia di Serbia, venne intrapreso un importante restauro e la trasformazione del parterre de broderie in parterre d’acqua. Successivamente, la baronessa von Ketteler compì ulteriori modifiche nel giardino, creando diversi esempi di arte topiaria. La villa fu ceduta al Vaticano in seguito alle distruzioni della seconda guerra mondiale e acquistata poi da Marcello e Nerina Marchi nel 1952. Dal 1994, i loro eredi Zalum ne proseguono l’opera.
Edith Wharton, Ville italiane e loro giardini, trad. italiana dell’edizione inglese, London 1903 (Firenze: Passagli, 1983), pp. 33 e 37.
Oggi… il giardino deve darci l’impressione che la casa si estenda all’aria aperta, e i suoi diversi aspetti devono celarsi l’uno all’altro in modo che passeggiandovi si venga colti da una serie varia di impressioni più che da un sol colpo d’occhio… Il miglior esempio di questa disposizione l’abbiamo… alla Villa Gamberaia… dopo aver passeggiato in quel giardino, relativamente piccolo di area, ci si allontana con l’impressione d’aver scorso più tempo e d’aver scoperto più orizzonti di quel che in realtà sia stato.
Cecil Pinsent, (Giardini moderni all’italiana. “Il giardino fiorito”, Giugno 1931), p.69.
In nessun altro luogo della mia memoria liquido e solido sono stati mescolati con altrettanta raffinatezza in una dimensione che è umana e tuttavia grandiosa senza pomposità. . . . Si resta con un’impressione duratura di serenità, dignità e beato riposo.
Harold Acton, Ville toscane. (Milano: Mondadori, 1984; prima edizione, inglese, London 1973), p. 151.
4 marzo 1948
Sono andato a piedi alla Villa Gamberaia. L’ho trovata trascurata, negletta, l’erba alta, non falciata, i rami degli alberi stroncati che sembrano elefanti dalla proboscide rotta… Eppure il posto serba sempre la sua attrattiva, ispira ancora nostalgia, ispira sogni, dolci sogni. La sua bellezza è tanta, nonostante lo stato di decadimento, che si rimane assorti a guardarla, a contemplarla. La terrazza, le vasche, la grande abside di cipressi tagliati, il prato fra le siepi che da lontano sembra una barca navigante nello spazio e la veduta sul paesaggio pacifico delle montagne chiantigiane e più lontano, dietro alle cupole e alle torri, le vette nevose degli Appennini, l’Arno che riluce giù nella pianura.
5 marzo 1948
Cinquant’anni fa avevo cominciato a frequentare quel paradiso che apparteneva allora a una signora rumena narcisistica che viveva misteriosamente, innamorata forse di se stessa e certamente della propria creazione: il giardino della Gamberaia… la Gamberaia è rimasta per me, fino agli anni dieci di questo secolo, uno dei fari, una delle soste magiche nella vita.
Bernard Berenson, Tramonto e crepuscolo – ultimi diari 1947-1958, (Milano: Feltrinelli, 1966) p.54-55
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